Approfondimento

Published on Febbraio 25th, 2016 | by Militant

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Bernie Sanders e il modello neo-keynesiano

L’ultima moda del momento della sinistra, che non ama l’estremismo comunista e ben se ne tiene lontano, è Bernie Sanders. Prima era Tsipras, poi Iglesias, ogni uomo nuovo si è dimostrato un uomo che si è adattato al sistema e non lo ha cambiato.

La propaganda riempie la bocca di Sanders di socialismo, ma Sanders stesso è il primo a rifiutare questo scomodo appellativo, adesso che è in corsa per le elezioni presidenziali. Egli infatti oggi, al contrario rispetto al periodo maccartista, preferisce schivare le accuse di socialismo, ribadendo che la sua visione si rifà a Roosevelt e a Papa Francesco (1) e che ingiustamente viene definita socialista dai suoi detrattori. Chi non ha la memoria corta può ricordare come l’accusa di socialismo sia spesso usata dai repubblicani americani, anche quando il programma politico del candidato in questione non contiene nulla di socialista. Nessuno ricorda che nel 2008 Obama veniva additato come socialista? (2) Si dimostrò alla fine un socialista? Come Obama non era un socialista, così Sanders non è un socialista.

Entrando nello specifico del programma economico, Sanders si rifà alla nuova teoria della moneta di Mosler, già criticata nel nostro opuscolo “Barnard e la MMT, un inganno conservatore in salsa Keynesiana”. A chi non crede che in America possa esistere un’alternativa davvero socialista, ma che Sanders e il suo keynesismo siano quanto di più progressista possa esserci negli USA, ricordiamo che il keynesismo è una teoria economica “ Moderatamente conservatrice per le conseguenze che implica” (3).

Le critiche a Sanders vengono rivolte anche dalla rivista Jacobin, in particolare in due articoli “No, Socialism isn’t just more Government” e “The Sanders Trap”. Il miracolo del New Deal venne ampiamente analizzato da William Foster, che giustamente scrisse come il sistema-modello americano di Roosevelt riuscì a risollevare il paese solo grazie al secondo grande conflitto mondiale e che dagli anni 20’ fino al 33’, anni in cui la grande spinta economica derivante dalla guerra si esaurì, ben 17 milioni di operai americani vennero gettati sul lastrico. Sanders però non ricorda questo piccolo dettaglio del New Deal e sostiene invece “Roosevelt implemented a series of programs that put millions of people back to work, took them out of povert and restored their faith in government”. Inoltre Sanders non indirizza i suoi discorsi alla classe lavoratrice ma alla middle class americana e illude i suoi elettori, facendo credere di essere capace di ricostruirla proprio con il suo programma neo-keynesiano ispirato al grande successo del New Deal.

Riguardo alla politica estera propugnata da Sanders, non c’è nulla di innovativo, non c’è rottura con i paesi monarchici e sanguinari, detentori del petro-dollaro, come l’Arabia Saudita, Kuwait, Qatar o dittatoriali come la Turchia o l’Egitto, bensì “The bottom line is that ISIS must be destroyed, but it cannot be defeated by the United States alone. A new and effective coalition must be formed with the Muslim nations leading the effort on the ground, while the United States and other major forces provide the support they need”.

Noi quindi non ci accodiamo all’entusiasmo per Bernie Sanders e invitiamo a fare lo stesso ai compagni che guardano a questo uomo nuovo con speranza. Non c’è niente di peggio per una nazione della socialdemocrazia, perché nella storia ogni suo fallimento ha poi spianato il terreno per la destra ultra-reazionaria.

(1)    https://berniesanders.com/democratic-socialism-in-the-united-states/
(2)    http://www.newyorker.com/magazine/2008/11/03/like-socialism
(3)J. M. Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, a cura di Terenzio Cozzi, Torino, UTET, 2006, p. 344, ISBN 88-02-07355-4.

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