Politica Estera

Published on Ottobre 17th, 2015 | by Militant

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Intervista alla compagna curda Ozlem Tanrikulu

kurdiDi seguito l’intervista che Red Militant è riuscita a fare alla compagna Rojin Ozlem Tanrikulu. presidente della onlus UIKI che ringraziamo per la sua disponibilità, per avere informazioni dirette sui punti che consideriamo più importanti per la costruzione di una nuova esperienza sociale e politica a partire dall’esperienza delle città liberate del Kurdistan, per la lotta contro l’imperialismo di ogni nazione e contro il terrorismo di matrice islamica.

Il sistema del confederalismo democratico prevede una partecipazione attiva dei cittadini dal basso, come funziona esattamente?

Il sistema comincia con un’assemblee generale dei cittadini del quartiere che scelgono i loro rappresentanti, ad esempio 35 persone per quartiere, a seconda della grandezza del quartiere, in cui sono rappresentati tutti i bisogni riguardo i temi scelti dai cittadini stessi. I temi vanno dalle esigenze ambientali ed ecologiche a quelle amministrative ed economiche. Questi rappresentanti vengono scelti ogni mese e ad ogni nuova riunione viene sviluppata l’autocritica del lavoro svolto precedentemente e se ci sono stati degli errori o delle cose gravi che vanno discusse e prese in considerazione rispetto alla riunione precedente . Queste persone scelte come rappresentanti sono la parte esecutiva del quartiere e rappresentano un contatto molto stretto con il cittadino. Quando si presenta un problema legato ad un quartiere, che però coinvolge l’intera città, si riuniranno in un consiglio della città più grande e lì si discuterà come risolvere il problema, secondo le necessità di tutti. Il sistema prevede quindi che le questioni siano discusse dall’alto e dal basso, per attuare un’integrazione completa di tutte le parti e una piena partecipazione.

La produzione è su base locale e artigianale, quindi non c’è grande produzione. Come viene pianificata la produzione e la distribuzione? Riguardo i rapporti di proprietà, esiste la proprietà privata?

Si, non è prevista la grande produzione e questa è regolata con un sistema di cooperative. L’eccedenza prodotta dalle cooperative non va in mani private e questa è proprietà comune di tutti. Viene poi pianificata la distribuzione a seconda dei bisogni delle persone, che grazie alle assemblee cittadine e di quartiere potranno fare presente le loro esigenze. Inoltre se ci sono persone in difficoltà perché non trovano lavoro, perché non sono specializzate o perché ha perso un elemento importante della famiglia, nell’assemblea cittadina vengono aiutate nella ricerca di un’occupazione, per far si che possano riprendersi e trovare una sistemazione. C’è quindi un sostegno della collettività quando un elemento è in difficoltà, che va anche oltre il semplice assistenzialismo, perché a parte viene insegnato un mestiere a chi è in difficoltà, per far si che possa reggersi sulle sue gambe. Questo mestiere viene trovato proprio all’interno della cooperativa. Non c’è una proprietà privata delle terre o dei mezzi di produzione.

Il PKK che ruolo ha all’interno di queste strutture e delle città liberate?

Il PKK ha la responsabilità di formare le persone. Possiede dei bracci militari per aiutare nella lotta di liberazione i cittadini ma ha anche la responsabilità di educare i cittadini e ha responsabilità di divulgare il confederalismo democratico. Fa formazione politica. Questa formazione politica viene fatta attraverso delle accademie popolari in cui tutte le persone possono partecipare e che tiene corsi su molte materie diverse e a cui tutti possono partecipare, in queste accademie popolari viene affrontato ogni argomento sociale, dall’economia alla questione delle donne, dei veri e propri seminari per cercare di ricostruire qualcosa di nuovo e di analizzare i problemi reali. In particolare ci sono dei seminari di giurisprudenza, perché si cerca di definire bene le questioni legali nuove che si devono affrontare nella costruzione di questo modello sociale, in cui si studiano i principi e i modelli da poter applicare, ad esempio riguardo la questione delle prigioni e del sistema carcerario ma anche tante altre. Le accademie popolari comunque non sostituiscono le scuole e le università, sono un momento collettivo a parte.

Questo modello delle accademie popolari lo ha portato il PKK?

Si, perché il PKK prima lo ha provato dentro di sé. Così come ha provato il modello del confederalismo democratico. Il PKK non ha un controllo direttivo e d’imposizione su queste esperienze, ma dopo averle fatte conoscere e diffuso il metodo ne diventa parte integrante. Questo cambio di paradigma è stato apportato per poter collegarsi meglio con la società. Il PKK quindi non dà direttive, ma fa parte di quelli che noi chiamiamo “lavoratori della società” e aiutano alla pari nella costruzione di questo modello, non come attori unici.

E’ un modello simile al Chiapas? Che collegamenti ci sono con queste altre esperienze?

Sono due movimenti diversi, ognuno ha le sue differenze. Ci sono cose simili, ma non sono gli stessi modelli, in medio oriente applichiamo modelli diversi, dove decidiamo di costruire e andare avanti, non rimaniamo nel mezzo. E’ un contesto sanguinoso e duro, di lotta. Noi comunque abbiamo studiato i modelli latino-americani, adesso abbiamo mandato un gruppo per fare una collaborazione, imparare e insegnare, tramite il confronto, non solo in Chiapas, ma anche in altre zone, in tutti i luoghi dove ci sono popoli senza terra e senza stati. Può essere che quindi ci siano delle similitudini, ma è importante non fare un paragone, bensì prendere l’esperienza per quello che è.

I Curdi sono attori importanti nel medio oriente, credi che se mai  si dovesse formare un tavolo di pace, ai curdi verrà riconosciuta autorità? Qualora non venisse riconosciuta questa esperienza, i curdi continuerebbero a combattere o accetterebbero di conformarsi al modello scelto dalle altre potenze?

E’ una domanda importante. La questione principale è che tutte le forze internazionali adesso si rendono conto di aver sbagliato a dividere i curdi, perché i curdi hanno dato prova di sapersi organizzare ed essere pronti a combattere e organizzare quei paesi democraticamente. Il problema principale è ovviamente la Turchia, che fa propaganda sostenendo che i curdi vogliono dividere il paese e sono separatisti.. Adesso invece è diverso, i curdi non vogliono creare un modello solo per i curdi e vogliono lottare insieme al popolo turco al di là dei confini nazionali. Dopotutto  i curdi in Turchia  hanno delle diversità rispetto a quelli in Siria o in Iran, perciò quello curdo non è un movimento nazionalista, ma che vuole integrare e unire. I curdi non lotteranno per un riconoscimento di uno stato curdo, bensì per il mantenimento dell’autonomia del con federalismo democratico dov’è stato costruito. Tutte le forze internazionali sanno che i curdi sono importanti per il cambiamento del medioriente, per la loro capacità di organizzare e portare avanti la società. Sicuramente cercheranno di usarli per i loro interessi, ma i curdi sanno e conoscono abbastanza per proteggere quello che hanno costruito e non diventare schiavi degli Stati Uniti o di altri. I curdi quindi combatteranno sempre per l’autonomia democratica dei popoli, e nonostante le grandi potenze cerchino di dividerli dando più importanza ad alcuni gruppi rispetto ad altri, andranno avanti con il loro paradigma di convivenza, per creare una società per tutti,, ben coscienti dei giochi internazionali che in questo momento vengono condotti dalle grandi potenze.

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