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Published on Dicembre 23rd, 2013 | by Militant

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La sconfitta del proprio governo nella guerra imperialista (di Lenin)

Pubblichiamo un testo di Lenin che non si trova interamente, ma solo a stralci, nel web . Il seguente testo è un opera fondamentale che ripete esplicitamente il concetto leninista dell’unione del proletariato di tutti i paesi contro qualsiasi borghesia, nazionale e internazionale, anche la propria. L’errore di esponenti della socialdemocrazia, che invece sostenevano che il proletariato dei propri paesi dovesse allearsi con la propria borghesia per evitare di “tradire la patria” viene duramente contesta e tali soggetti vengono additati come “socialpatriottici” . Il più conosciuto tra questi socialpatriottici era proprio Trotski, contro il quale Lenin si scaglia a causa delle sue prese di posizione opportunistiche  e lascia a noi contemporanei una lezione più che mai attuale sulla linea che i comunisti devono diffondere tra le fila dei lavoratori e del proletariato. Gli operai non hanno patria (salvo che non esista una grande unione di stati come l’URSS) ma hanno solo compagni con cui unirsi e spezzare qualsiasi frontiera, unendo il mondo e distruggendo qualsiasi tipo di nazionalismo che divide le masse popolari.

La sconfitta del proprio governo nella guerra imperialista 

Una classe rivoluzionaria non può, durante una guerra reazionaria, non augurarsi la sconfitta del proprio governo. Questo è un assioma contestato soltanto dai fautori coscienti o dagli impotenti accoliti del socialsciovinismo. Al primo gruppo appartiene ad esempio Semkovski, del comitato d’organizzazione. Fra i secondi troviamo Trotski, Bukvoied e, per la Germania, Kautsky. Il desiderio della sconfitta della Russia – scrive Trotski- è un’immotivata e ingiustificata concessione alla metodologia politica del socialpatriottismo, che sostituisce alla lotta rivoluzionaria contro la guerra e contro le condizioni che l’hanno generata un orientamento, in una simile situazione estremamente arbitrario, verso la linea del minor male. Ecco un saggio delle frasi ampollose con cui Trotski giustifica sempre l’opportunismo. La lotta rivoluzionaria contro la guerra è una semplice frase senza contenuto – una di quelle frasi in cui sono maestri gli eroi della II internazionale- se parlando di questa lotta non s’intende parlare di azioni rivoluzionarie contro il proprio governo anche in tempo di guerra. Per capirlo basta rifletterci un po’. E le azioni rivoluzionarie in tempo di guerra contro il proprio governo, innegabilmente, incontestabilmente, significano non soltanto augurarsi la disfatta di questo governo, ma portare alla disfatta un contributo effettivo (Per il lettore perspicace: non si tratta affatto di far saltare dei ponti, di organizzare ammutinamenti militari votati all’insuccesso, e, in generale, di aiutare il governo a schiacciare i rivoluzionari.). Trotski, cercando di cavarsela con delle frasi, prende lucciole per lanterne. Pare a lui che augurando la disfatta della Russia si voglia la vittoria della Germania (Bukvoied e Semkovski esprimono più francamente questo pensiero, o meglio questa povertà di pensiero che hanno in comune con Trotski). E in questo Trotski vede la metodologia del socialpatriottismo! Allo scopo di aiutare la gente che non ha il dono di pensare, la risoluzione di Berna spiega: in tutti i apesi imperialisti il proletariato deve augurarsi la disfatta del proprio governo. Bukvoied e Trotski hanno preferito passare sopra a questa verità, e Semkovski (opportunista, il quale più di ogni altro rende servizio alla classe operaia ripetendo con ingenua franchezza le sagge lezioni della borghesia) ha spifferato: questo è un nonsenso, poiché la vittoria dovrà spettare per forza o alla Germania o alla Russia. Prendete l’esempio della Comune. La Germania ha sconfitto la Francia; Bismarck e Thiers hanno sconfitto gli operai!! Se Bukvoied e Trotski avessero riflettuto, si sarebbero accorti di condividere, circa la guerra, il punto di vista dei governi e della borghesia, cioè di essersi resi schiavi della “metodologia politica del socialpatriottismo”, per servirci del linguaggio stravagante di Trotski. La rivoluzione in tempo di guerra è guerra civile, la trasformazione della guerra dei governi in guerra civile è facilitata dai rovesci militari (dalla sconfitta) di questi governi; d’altra parte è praticamente impossibile tendere realmente a questa trasformazione senza concorrere, in pari tempo, alla disfatta. La parola d’ordine della disfatta è respinta dagli sciovinisti precisamente perché è l’unica e sola parola d’ordine che sia un appello conseguente all’azione rivoluzionaria contro il proprio governo durante la guerra. E senza questa azione, le milioni di frasi rivoluzionarissime sulla lotta contro la guerra, le condizioni, ecc. Non valgono un soldo bucato. Chi volesse seriamente confutare la “parola d’ordine” della disfatta del proprio governo nella guerra imperialista dovrebbe dimostrare una di queste 3 cose 1) Che la guerra del 1914-1915 non è reazionaria 2) Che la rivoluzione in connessione con questa guerra è impossibile 3) Che sono impossibili il coordinamento e la cooperazione dei movimenti rivoluzionari in tutti i paesi belligeranti. Quest’ultimo argomento è di particolare importanza per la Russia, paese più arretrato di tutti gli altri e in cui una rivoluzione socialista immediata è impossibile. Precisamente per questo motivo i socialdemocratici russi hanno dovuto per primi far valere, in teoria e in pratica, la parola d’ordine della disfatta. E il governo zarista aveva completamente ragione di affermare che l’agitazione del gruppo parlamentare del POSDR è l’unico esempio nell’Internazionale, non soltanto di una opposizione parlamentare, ma di un’agitazione realmente rivoluzionaria tra le masse contro il proprio governo; che questa agitazione indeboliva la potenza militare della Russia e concorreva alla sua disfatta. E’ un fatto, volerlo negare non è dar prova d’intelligenza. Gli avversari della parola d’ordine della disfatta hanno semplicemente paura di se stessi, perché non osano guardare in faccia l’evidentissimo fatto del legame indissolubile esistente tra l’agitazione rivoluzionaria contro il governo e la cooperazione alla sua disfatta. E’ possibile la cooperazione e la coordinazione del movimento russo, rivoluzionario nel senso democratico borghese, e del movimento socialista in Occidente? Nessuno dei socialisti che si sono pronunciati pubblicamente nell’ultimo decennio ha messo in dubbio tale possibilità, e il movimento prodottosi in seno al proletariato austriaco dopo il 17 Ottobre 195 l’ha provato con i fatti. Domandate ad un qualsiasi socialdemocratico che si dica internazionalista se ha simpatia per un’intesa tra i socialdemocratici di tutti i paesi belligeranti per una comune azione rivoluzionaria contro i propri governi belligeranti. Molti risponderanno che una simile intesa è impossibile, come ha risposto Kautsky, provando pienamente in tal modo il suo socialsciovinismo. Questa è una menzogna evidente, lampante, che fa a pugni con i fatti generalmente noti e col manifesto di Basilea. D’altra parte, se questa fosse la verità, gli opportunisti avrebbero ragione in molte cose! Molti risponderanno che hanno simpatia per una simile intesa. E noi diremo allora: se questa simpatia non è ipocrita, è ridicolo pensare che in guerra e per una guerra bisogna accordarsi secondo tutte le formalità: elezioni di rappresentanti, colloqui, firme di patti, determinazione del giorno e dell’ora! Soltanto i Semkovski possono pensare in questo modo. Un’intesa sulle azioni rivoluzionarie, e anche in un solo paese – per non parlare di parecchi paesi- è realizzabile soltanto con l’esempio di azioni rivoluzionarie importanti, con l’inizio e lo sviluppo di queste azioni. Orbene, tale inizio a sua volta è impossibile se non si attua la disfatta e non si coopera per il raggiungimento di questa. La trasformazione della guerra imperialista in guerra civile non può essere “fatta” così come non possono essere “fatte” le rivoluzioni: essa si sviluppa da numerosi fenomeni, aspetti, tratti, particolarità multiformi, risultanti della guerra imperialista. E questo sviluppo è impossibile senza una serie d’insuccessi e di rovesci militari di quei governi che subiscono i colpi delle loro classi oppresse. Rinunciare alla parola d’ordine della sconfitta vuol dire trasformare il proprio spirito rivoluzionario in vuota fraseologia oppure in perfetta ipocrisia. E con che cosa dunque ci si propone di sostituire la parola d’ordine della disfatta? Con la parola d’ordine “Nè vittoria, nè sconfitta” (Semkovski nel vol.2 delle Izvestia). Ma questo non è altro che parafrasare la parola d’ordine della difesa della patria! Questo significa esattamente porre la questione sul piano della guerra dei governi (i quali, secondo il contenuto di questa parola d’ordine, devono restare nella vecchia situazione, mantenere le proprie posizioni) e non sul piano della lotta delle classi oppresse contro i propri governi! Questo significa giustificare lo sciovinismo in tutte le nazioni imperialistiche in cui le borghesie sono sempre pronte a dire- e dicono al popolo- che esse combattono soltanto contro la sconfitta. Il significato del nostro voto il 4 Agosto è questo: “non per la guerra, ma contro la disfatta, scrive sul libro” E.David, capo degli opportunisti. I membri del comitato d’organizzazione, compresi Bukvoied e Trotsky, difendono la parola d’ordine “nè vittoria, nè sconfitta”, si mettono completamente sul terreno di David! Questa parola d’ordine, se vi si riflette, significa la pace civile, l’abbandono della lotta di classe da parte della classe oppressa in tutti i paesi belligeranti, poiché la lotta di classe è impossibile senza assestare colpi alla propria borghesia, al proprio governo. E, durante la guerra, assestare colpi al proprio governo è tradire lo stato, è cooperare alla sconfitta del paese. Chi accetta la parola d’ordine nè vittoria, nè sconfitta, può dire solo ipocritamente di essere per la lotta di classe e per la rottura della pace civile, ma di fatto tradisce la politica proletaria indipendente, imponendo al proletariato di tutti i paesi in guerra un compito perfettamente borghese: difendere dalla sconfitta i governi imperialisti. L’unica politica di rottura -non a parole- della pace civile, di riconoscimento della lotta di classe, è la politica per la quale il proletariato approfitta della difficoltà del proprio governo e della borghesia al fine di abbatterli. Ma non si può ottenere questo, non si può tendere a questo senza augurarsi la disfatta del proprio governo, senza cooperare a tale disfatta. Quan, prima della guerra, i socialdemocratici italiani hanno posto il problema dello sciopero di massa, la borghesia ha risposto assolutamente nel modo giusto secondo il suo punto di vista: questo sarà un tradimento verso lo stato e noi vi tratteremo come si trattano i traditori. Questo è vero, com’è vero che la fraternizzazione nelle trincee è un tradimento contro lo stato. Chi nei suoi scritti si pronuncia, come Bukovied, contro il tradimento dello stato, o come Semkovski, contro la disgregazione della Russia, prende una posizione borghese e non proletaria. Il proletariato non può nè vibrare un colpo classe al suo governo, nè, di fatto, tendere la mano al suo fratello, al proletario del paese straniero in guerra contro di noi, senza perpetrare un tradimento dello stato, senza cooperare alla disfatta, senza contribuire al crollo della sua borghesia. Chi sostiene la parola d’ordine, nè vittoria, nè sconfitta, è consapevolmente o no uno sciovinista, è, nel migliore dei casi, un piccolo borghese pacifista, ma è, in ogni caso, un nemico della politica proletaria, un fautore dei governi attuali, delle attuali classi dominanti. Esaminiamo ancora la questione da un altro lato. La guerra non può non suscitare nelle masse sentimenti impetuosi che rompono la sonnolenza psichica abituale. La tattica rivoluzionaria è impossibile se non è in corrispondenza con questi sentimenti nuovi e impetuosi. Quali sono le principali correnti di questi sentimenti impetuosi? 1) Lo spavento e la disperazione. Di qui il rafforzamento della religione. Le chiese si riempiono di nuovo e i reazionari ne gongolano. “Dove si soffre vi è la religione”, dice il reazionario Barres. E ha ragione. 2) L’odio contro il nemico, sentimento attizzato di proposito dalla borghesia è vantaggioso soltanto per essa, economicamente e politicamente. 3) L’odio contro il proprio governo e contro la propria borghesia, sentimento di tutti gli operai coscienti i quali, da una parte, comprendono che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi dell’imperialismo e rispondono alla guerra con la continuazione del loro odio contro il nemico di classe, e, dall’altra parte, comprendono che la guerra alla guerra, è una frase banale se non si fa la rivoluzione contro il proprio governo. Non è possibile suscitare l’odio contro il proprio governo e contro la propria borghesia senza desiderarne la disfatta, come non è possibile essere un sincero avversario della pace civile, ovvero la pace di classe, se non si suscita l’odio contro il proprio governo e la propria borghesia!! I fautori della parola d’ordine, nè vittoria nè sconfitta, si trovano in realtà a fianco della borghesia e degli opportunisti, perché non desiderano contribuire allo sviluppo di simili azioni, compito indiscutibilmente difficile, ma il solo che sia degno del proletariato, il solo compito socialista. Precisamente il proletariato della più arretrata tra le potenze belligeranti, sopratutto in seguito al tradimento vergognoso dei socialdemocratici tedeschi e francesi, è dovuto scendere in campo, per il tramite del suo partito, con una tattica rivoluzionaria, la quale tattica è assolutamente impossibile se non si concorre alla disfatta del proprio governo, ma è la sola tattica che porti alla rivoluzione europea, a una pace socialista duratura; la sola che possa liberare l’umanità dagli orrori, dalle calamità, dalla crudeltà, della barbarie che oggi regnano.

 

Sotsial-Demokrat, n.48

26 Luglio 1915. Tratto da: Lenin, Opere complete, ed russa vol.26, pp.286-291

 


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