Politica Interna

Published on Dicembre 22nd, 2013 | by Militant

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Forconi in piazza. Borghesia in piazza per ingannare il proletariato

A margine della prova di piazza, rivelatasi poco meno di un flop, del Movimento dei Forconi (o “Coordinamento 9 dicembre”), è per noi doveroso avanzare qualche riflessione su quanto avvenuto il 18 dicembre a Roma e sul dibattito che ha preceduto l’appuntamento. A nessuno sarà sfuggita l’attenzione – quando non l’aperta contiguità – che una parte della sinistra, con alcuni settori del panorama comunista italiano, ha riservato al movimento nato circa un anno fa in Sicilia e che oggi ha assunto un carattere nazionale. Nelle scorse settimane ci siamo imbattuti in più di un’analisi (si fa per dire) sulla composizione di classe e sulla natura “spontanea” della mobilitazione inaugurata il 9 dicembre. Analisi, è bene ricordarlo, che ha condotto alcuni ambienti a dichiarare un convinto sostegno a quella che è stata definita come “la scintilla di lotta degli oppressi e degli schiacciati dalla crisi”. Quale la prospettiva? Nientemeno che l’egemonia e la guida della rivolta nel solco della teoria marxista-leninista. Semplificazioni a parte, è interessante – oltre che tragicamente comico – notare quanto questi teorici della domenica, autonominatisi avanguardia comunista nelle lotte del Paese, ad una verifica empirica delle proprie considerazioni preferiscano il caminetto di casa e gli accorati dibattiti sui social network e sulla rete in genere. Ciò che è certo, infatti, è che questi “rivoluzionari della tastiera”  (o promotori di una via “virtual-leninista”, lasciamo a loro la scelta) hanno preferito non affacciarsi nemmeno sulla piazza del 18 dicembre, preferendo forse i resoconti della stampa borghese o il passa parola su Facebook. Noi che, invece, umilmente e faticosamente tentiamo di costruire le nostre analisi a partire dallo studio dell’esistente e non dell’astratto, ebbene noi di Red Militant a Piazza del Popolo c’eravamo (in veste ovviamente di osservatori e non di partecipanti attivi, vista la nostra ben nota posizione sull‘argomento).

Un piccolo esercito di fascisti e borghesi

Sarebbe sin troppo inclemente focalizzare la nostra lente sulla scarsa affluenza di “popolo” alla chiamata dell’imprenditore Calvani. Giornali e televisioni hanno già raccontato approfonditamente il flop del 18 dicembre. Cionondimeno è opportuno sottolineare quanto lontana dalla realtà fosse l’etichetta di “movimento di massa” affibbiata alla mobilitazione dei forconi. Ma il vero oggetto d’osservazione non poteva che essere la composizione di classe della piazza e – in seconda istanza – quella politica. Su quest’ultima c’è davvero poco da aggiungere rispetto a quanto già largamente raccontato dai media. Casapound Italia ha egemonizzato numericamente e visivamente l’appuntamento, gestendo quasi da sola le parole d’ordine e gli slogan contro il governo, le banche, ma soprattutto contro cittadini e merci straniere. Davvero poche le altre sigle presenti, salvo qualche esponente di secondo e terzo piano della Lega Nord e della destra di Storace. Interessante notare come l’iniziale e ipocrita contrarietà dei Forconi guidati da Calvani a condividere la piazza con i fascisti del terzo millennio, sia stata immediatamente ridimensionata e convertita in una occasione di vera e propria fratellanza politica. Gli organizzatori hanno, infatti, garantito grande risalto all’intervento dal palco di un rappresentante di Casapound. Ma veniamo alla composizione sociale della piazza. Innanzitutto c’è da osservare un dato particolarmente rilevante: quasi la totalità dei manifestanti era rappresentato da militanti delle diverse organizzazioni fasciste o parafasciste. Con buona pace di chi ha riscontrato (naturalmente senza scomodarsi dal proprio salotto domestico) un autentico ed inedito “spontaneismo popolare” ed “una consistente presenza” di masse popolari  con cui unirsi sul posto. Al fianco dei fascisti – ed in posizione del tutto marginale – un ristretto e malconcio esercito sottoproletario di disperati, raccolti qua e là dagli stessi organizzatori al grido “noi abbiamo fame, ma il governo si occupa solo degli immigrati”. Un po’ più consistente, invece, la presenza della piccola e media borghesia imprenditoriale più o meno schiacciata dalla crisi, quando non dalle proprie misere furbizie di bottega. Questi davano voce agli slogan anti-euro, contro lo Stato ladrone (“socio occulto dell’impresa, che ruba i risparmi di chi vuole offrire lavoro in questo Paese”), contro le leggi europee (“che ci obbligano a consumare prodotti agricoli polacchi, pericolosi per la salute nazionale”), contro le leggi nazionali (“che tutelano l’immigrato a discapito del popolo italiano”). Il tutto condito con le solite formule del ‘né destra, né sinistra, noi siamo il popolo affamato’ , del “tutti a casa!” e del “ritorno alla sovranità nazionale e monetaria” come unica via d’uscita dalla crisi economica.

I “diversivi” della borghesia per distrarre il proletariato

Laddove il quadro non fosse sufficientemente chiaro è utile ricordare quanto il potere borghese sia il vero regista di questi evidenti diversivi mascherati da rivolta di popolo. L’obbiettivo, neanche troppo celato, resta sempre il solito: canalizzare la rabbia del proletariato in movimenti amorfi e di natura patriottarda, che facciano molto rumore, ma senza suscitare idee “pericolose“ per il sistema in generale, ma solo per le sue varianti. Siamo malati di capitalismo, non di moneta sovranazionale, di eccessivo peso fiscale o di concorrenza sleale con le merci straniere! Invitare i comunisti (privi di organizzazione e struttura) a “condizionare” o addirittura “guidare” quelle piazze, tralasciando il ruolo giocato dalla borghesia in questa fondamentale partita, risulta dunque velleitario e a tratti grottesco. A quei comunisti che si lasciano tentare dal desiderio di trovare nuovi alleati nella lotta rivoluzionaria o a tralasciare gli insegnamenti di Lenin e dei rivoluzionari comunisti da cui dobbiamo prendere sempre esempio, ricordiamo che non ci sono scorciatoie possibili nel lavoro che abbiamo davanti a noi. Costruzione del Partito, centralità del proletariato nella lotta rivoluzionaria e individuazione del nemico di classe a tutti i livelli,non solo i grandi capitali monopolistici, ma anche il padrone dell’Agro Pontino, restano le priorità per chi non rinuncia ad operare nel solco degli insegnamenti di Marx e Lenin. Lo spostamento della contraddizione principale del capitalismo, quella tra oppressi e oppressori, è il fine del populismo piccolo borghese, che cerca di additare la colpa dei mali del sistema al grande monopolio e non alla natura del sistema stesso. I comunisti sanno che la lotta ai monopoli non è l’anticapitalismo, ma solo un modo per cercare di fermare l’inevitabile avanzata della classe operaia da parte di quei piccoli imprenditori che sono stati lasciati indietro, ma che, in condizioni diverse, non si sarebbero scomodati a manifestare.

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